Il furto dello Spirito. Nativi americani: qual è la differenza tra rubare e ricevere in dono un rito o una cerimonia

Dal libro di Marco Massignan “Costellazioni rituali®. Sciamanismo e rappresentazioni sistemiche“. Edizioni Tecniche Nuove.

La pioggia battente e il vento sferzante di questa serata di fine febbraio hanno bloccato molte attività in California, ma nonostante il tempo non favorevole un centinaio di persone si sono raccolte in una libreria della catena Barnes & Noble di Santa Rosa per la presentazione di Hyemeyohsts Storm. Scrittore e ideatore di seminari e workshop, il sessantenne Storm è noto più che altro per il suo best seller del 1972 Sette Frecce, il libro che ha introdotto la controcultura giovanile USA alla spiritualità nativa americana – scatenando controversie e polemiche che, oltre vent’anni dopo, continuano a dividere nativi americani tradizionalisti e ricercatori spirituali contemporanei.

Mentre i presenti vagano per la sala prima dell’inizio della serata, un attivista indiano passa sedia dopo sedia e lascia su ciascuna di esse un volantino. “Basta con lo sfruttamento delle tradizioni sacre dei popoli nativi d’America!!”: così inizia l’infuriato messaggio. “Ci riteniamo oltraggiati e offesi da chi sfrutta senza rispetto le nostre tradizioni religiose (…) Queste pratiche sacre hanno permesso ai nostri popoli di sopravvivere a cinque secoli di genocidio. Non permetteremo che questi doni del Creatore vengano dissacrati o abusati (…) Le nostre pratiche spirituali sacre non sono in vendita, e se cercherete di rubarcele, sarete colpevoli di genocidio spirituale.”

Non esattamente il genere di accoglienza che ci si aspetta ad una presentazione editoriale nella libreria sotto casa. Ma negli ultimi anni la crescita di popolarità della spiritualità dei nativi americani è andata di pari passo con confronti emotivi di questo genere. Non c’è bisogno di scavare troppo per scoprire l’obiettivo della rabbia degli attivisti: insegnanti di varia legittimità, indiani e no, richiedono considerevoli somme di denaro per iscriversi a corsi che comprendono ciò che essi definiscono cerimonie della capanna del sudore, sacre danze del sole, guarigioni sciamaniche e corsi di ricerca della visione. Negli Stati Uniti, luoghi da sempre sacri ai nativi come Bear Butte in Sud Dakota e il monte Shasta in California vengono regolarmente visitati da ricercatori spirituali o new age che lasciano dietro di sé una montagna di offerte, cristalli e talismani d’ogni genere, oltre al facile commercio di oggetti legati alla cultura nativa spesso fabbricati in Cina e venduti ai curiosi senza la minima spiegazione né alcun rispetto [ormai anche dai nativi stessi, NdA]. Alcuni degli abusi sarebbero risibili se non risultassero offensivi: tra i casi peggiori di cui si ha notizia vi sono danze del sole condotte in luoghi commerciali, alcolici consumati in occasione di cerimonie di purificazione e orge di sesso presentate come seminari di spiritualità cherokee.

Il fascino attribuito ai rituali nativi non è cosa sorprendente in questa epoca d’esplorazione spirituale. Idee tradizionali indiane come il rispetto per la Terra e il riconoscimento dell’interconnessione di tutti gli esseri viventi parlano a coloro che lavorano per coltivare una sensibilità ecologica, mentre libri come quelli di Castaneda e Storm nutrono le necessità di coloro che ricercano un misticismo radicato nella natura. Ma gli attivisti nativi affermano che, data la lunga storia di colonizzazione dei popoli tribali e le loro lotte culturali tuttora in corso, una tale bramosia verso una vaga “indianità” spirituale da parte di ricchi bianchi può risultare profondamente offensiva. Il santee lakota John LaVelle, direttore del Center for the Support and Protection of Indian Religions and Indigenous Traditions (SPIRIT) considera questa “la fase finale del genocidio. Prima i bianchi ci hanno portato via la terra e tutto ciò che avevamo di fisico. Ora stanno prendendo ciò che è intangibile.” Il caso di Hyemeyohsts Storm è emblematico. Nel corso degli anni, questo scrittore è stato ampiamente criticato dagli attivisti indiani che lo considerano un falso maestro, un indiano da supermercato che ha commercializzato e distorto la spiritualità nativa nei suoi libri e seminari. Storm, sanguemisto, afferma di essere nato e cresciuto nelle riserve degli Cheyenne settentrionali e dei Crow in Montana e di farne regolarmente parte a livello anagrafico, sebbene questo suo status presso quelle tribù non sia confermato dalle stesse. Nonostante le proteste e le denunce d’abuso che hanno segnato la sua carriera, Storm vanta un vasto seguito tra i non nativi. “Ci sono dei valori in ciò che insegna ai bianchi,” afferma Mercedes Terezza, la cui associazione ha promosso un seminario di Storm a Santa Rosa, in California. “Ciò che impariamo rafforza noi e la nostra spiritualità, così che ne possano beneficiare tutta la gente e questo pianeta.”

Diversi osservatori affermano però che, a prescindere dai benefici che possono venire dalla crescente popolarità della spiritualità nativa, vi sono dei costi sostanziali da pagare. Alcuni, come il Cayuga-Seneca Gordon W.A. Oles e lo scrittore Ward Churchill, sostengono che la spiritualità da supermercato rappresenti in realtà una minaccia a lungo termine per le culture native: “Essa mina l’integrità e la sacralità delle vere tradizioni da cui proviene.” E ancora: “Cosa accadrebbe se mi recassi alla cattedrale di San Patrizio vestito con perizoma e mocassini e cercassi di prendere il posto del prete?”

Mentre nessuno difende la distorsione e l’abuso degli insegnamenti nativi, vi sono coloro che sostengono che la spiritualità nativa possa essere condivisa in modo appropriato con i non-indiani. Dorothy Blackcrow Mack è una donna bianca che ha sposato un nativo americano il quale è stato per diverso tempo custode del terreno della Danza del Sole della famiglia Blackcrow a Wanblee, in Sud Dakota. La Mack riconosce che, senza “viverla e respirarla giorno per giorno” i non-nativi non possono comprendere la spiritualità nativa, e molti pensano addirittura di poter “giocare” con rituali e cerimonie. Nonostante questo, afferma, nessuno può mettere regole alle pratiche religiose: il Grande Mistero è aperto a tutti coloro che credono. “Ho sentito indiani dire a dei bianchi che non possono suonare il tamburo, o usare un sonaglio, o tenere in mano la Sacra Pipa,” scrive la Mack, che insegna letteratura nativa americana in Oregon. “Una volta a Green Grass (Sud Dakota) mi venne detto che non potevo pregare lì, ma io fissai quel lakota dagli occhi azzurri e semplicemente sorrisi. Nessuno può proibire a qualcun altro di pregare da qualunque parte.”

“Allo stesso modo, nessuno può dire a qualcuno di non digiunare, che la chiamino ricerca della visione o no. Spesso dicevamo ai visitatori che non potevano fare la Danza del Sole dai Blackcrow, ma non che non potevano farla in assoluto – se erano tanto pazzi da provarci senza comprendere la profondità e il potere di quell’impegno. Questi tentativi di tenere la spiritualità nativa per i soli nativi sono comprensibili. Sono basati sulla paura: paura che la spiritualità possa essere rubata. È impossibile. Nessun imitatore può rubare a qualcuno ciò in cui egli crede.”

Anche alcuni nativi tradizionalisti salutano l’interesse dei bianchi verso la loro spiritualità come un segnale che stanno arrivando i tempi della guarigione. Il grande Frank Fools Crow, nipote di Alce Nero e capo cerimoniale dei Lakota Teton per quasi tutto il XX secolo, pensava ad esempio che gli indiani dovessero condividere con il resto dell’umanità una parte della saggezza che si sono guadagnati nel corso dei secoli. “Il Creatore ci ha dato il potere e le pratiche spirituali perché siano passati ad altri,” diceva Fools Crow. “Pensare o fare qualsiasi altra cosa è puro egoismo. E di solito chi si oppone a ciò è proprio chi ne sa di meno.”

Ma permangono comunque le domande: può una tradizione spirituale così strettamente interconnessa a una cultura mantenere il proprio significato se presa al di fuori di quel contesto? E se è così, come possono gli estranei esplorare e conoscere quella tradizione senza comprometterla?

La Grande Legge fu portata agli Irochesi del Nord-Est americano intorno al 1450 dal Pacificatore, un Urone, e dal suo portavoce mohawk, Aiionwatha o Hiawatha, i quali misero fine a decenni di sanguinosi conflitti tra Mohawk, Seneca, Oneida, Cayuga e Onondaga. La filosofia contenuta nella Grande Legge, che tra le altre cose protegge la libertà di parola e riconosce il giusto ruolo delle donne, è così completa e lungimirante che non ci si sorprende ancora oggi a trovare Irochesi che la promuovono in tutto il mondo – pare anzi che, almeno in parte, il modello della confederazione irochese abbia ispirato alcuni contenuti della costituzione degli Stati Uniti. Uno degli anziani tradizionalisti più rispettati tra gli Irochesi contemporanei è il mohawk Jake Swamp, che vive in una modesta abitazione ad Akwesasne, una riserva sul fiume San Lorenzo a cavallo del confine USA-Canada. Sebbene non sia un capo ereditario della Casa Lunga di Akwesasne, Swamp esercita le funzioni di Sarenhowane: “Albero Maestoso”. Chi detiene tale titolo promuove gli insegnamenti dell’Albero della Pace, simbolo della Grande Legge.

Nel 1989 Swamp abbandonò il lavoro come operaio per guidare la Tree of Peace Society, un’organizzazione non-profit che aveva fondato anni prima. Oggi tiene discorsi pubblici e conferenze sulla riforestazione e su tematiche ambientali. Nell’agosto 1996, insieme alla cantante oneida Joanne Shenandoah e ad altri irochesi partecipò alla cerimonia d’apertura del concerto Woodstock II, a Saugerties, stato di New York.

“Molte delle persone considerate new age che ho incontrato sono realmente impegnate nel rispetto per la Terra e nella sua difesa,” afferma Swamp, “ma in questa situazione emergono alcuni individui che se ne approfittano. Vanno nei musei e nei negozi a comprare una Pipa e dicono a tutti di essere stati istruiti da qualche anziano nativo, e così eseguono capanne del sudore a pagamento. E questa è una forma di abuso.”

Cresciuto da cattolico, Swamp iniziò il percorso spirituale soltanto quando conobbe sua moglie, che era stata educata secondo gli insegnamenti della Casa Lunga. “Avevo paura della mia stessa cultura,” afferma oggi riferendosi a quei giorni. “Abusavo me stesso con l’alcol e non capivo da dove arrivava il dolore, finché in seguito arrivai alla Casa Lunga.” Ben presto Swamp prese a chiedere informazioni agli anziani in modo sempre più pressante, ma gli anziani quasi lo ignoravano. “Mi stavano mettendo alla prova per assicurarsi che non avrei semplicemente preso le informazioni per poi sparire.” Dopo tre anni Swamp si guadagnò la loro fiducia, ed essi si dichiararono disposti a insegnargli.

L’opera di Swamp si è guadagnata qualche critica ad Akwesasne, ma egli rimane convinto dell’importanza del suo messaggio. “Quando vengo accusato di condividere troppo con altre persone, lo comprendo, perché ci sono passato anch’io. Ed è questo genere di persone che cerco di aiutare: persone che vedo intorno a me, che vagano senza meta, vuoti, alla ricerca di qualcosa. Condividere con loro la storia del Pacificatore dà nuova speranza e una nuova visione per il futuro.”

Ma anche l’apertura di Swamp ha i propri limiti. “Sento che se c’è qualcosa di buono nel mondo, tutti dovrebbero averlo. Ma non credo si possa apprendere in una volta sola. Quando ottieni qualcosa in modo troppo facile non gli dai il giusto valore. Devi soffrire per averlo. Allora darai il giusto valore al resto della tua vita.”

E per i cosiddetti uomini-medicina di plastica e per gli altri che abusano degli insegnamenti, Swamp pensa sia inutile preoccuparsi troppo di loro. “Questo già avviene ad un livello spirituale,” afferma. “Chiunque agisca in quel modo, cadrà. Se scherzi con la spiritualità, ti torna tutto indietro.” Scherzare col fuoco può rivelarsi molto pericoloso.

Il giornalista mohawk Doug George siede nel soggiorno della casa che condivide con la moglie, la celebre cantante Joanne Shenandoah. L’abitazione si trova sui 32 acri di territorio della riserva della Nazione Oneida, a meno di un’ora da Syracuse, stato di New York: tutto ciò che resta dei sei milioni di acri che un tempo gli Oneida possedevano tra New York e Pennsylvania. George, che per anni ha diretto il periodico nativo Akwesasne Notes, tiene ora una rubrica su un quotidiano locale. Ha ricevuto il premio Wassaja dalla Native American Journalist Association.

“Abbiamo fatto esperienze molto brutte con persone di cui ci fidavamo,” comincia George, “gente che ha fatto i soldi sugli insegnamenti che abbiamo dato loro.” Sono in special modo gli studiosi accademici che ricevono la dura accusa di George. Racconta di uno di loro che venne ammesso ad una cerimonia nella Casa Lunga di Akwesasne, sotto giuramento di non rivelare pratiche specifiche. Ma l’uomo descrisse poi l’evento per iscritto nei minimi dettagli, e da allora ai non-Irochesi è vietato l’ingresso nella Casa Lunga. “Gli Irochesi credono che quando partecipi al cerchio di una cerimonia, tutti devono essere come una mente sola,” dice George. “E se non appartieni a quella tradizione è difficile metter da parte le tue domande intellettuali, la tua curiosità, e mescolarti soltanto con lo Spirito e le emozioni al resto del gruppo. Se comprendi istintivamente ciò che sta avvenendo, questo permea il tuo essere, e tutto diventa facile.”

George afferma che agli incontri tradizionali si discute spesso della curiosità dei new ager per la spiritualità nativa. “Mi piace l’idea che la gente si ponga domande su ciò che accade intorno a loro e cerchi di trovare delle alternative. Comprendo inoltre l’imperativo che hanno a far questo, dato il brevissimo lasso di tempo che abbiamo su questo pianeta. È necessario che tutti adottino un certo modo di considerare il mondo che è comune ai popoli nativi, e cioè che l’uomo è parte integrante della creazione, e non ne è distaccato col suo intelletto raziocinante. Ma queste idee spirituali vanno viste come aspetti inestricabili di una cultura complessa. È un sacco di tempo che molti hanno dei problemi ad aver a che fare con gli Irochesi di oggi. Per loro, sarebbe molto meglio se noi fossimo quei pagani pretecnologici così carini di tanto tempo fa. Ma nel mondo di oggi, qualsiasi esplorazione della vita e della spiritualità dei nativi americani deve tener conto della grande complessità delle questioni riguardanti una comunità tribale: la sua storia, le sue rivendicazioni territoriali, le divisioni interne, la restituzione degli oggetti sacri , le condizioni economiche, e così via. Non fare questo significa rischiare di romanticizzare una cultura.

“C’è qualcosa di affascinante nel vivere in una società idealistica, libera dalle normali restrizioni del mondo tecnologico,” dice George. “La gente preferirebbe vivere in un tempo e in un mondo più semplici. E chi può biasimarli? Piacerebbe anche ai nativi!”

In risposta all’interesse dei non nativi per la spiritualità, George dice che coloro con cui lavora hanno adottato un nuovo approccio: incoraggiare le persone con origini europee ad esplorare le loro radici. “Se guardi indietro nel tempo, troverai che i Celti, gli Angli, i Sassoni e gli Juti avevano tutti rituali di ringraziamento basati sui cicli della Luna e sulle stagioni della Terra. È questo che deve essere riportato in vita. Quando la gente viene da te con un disperato bisogno di sapere di più, dì loro che la soluzione sta dentro loro stessi. La soluzione sta nella tua comunità.”

Sia Swamp che George hanno citato John Stokes dell’associazione Tracking Program di Corrales, in New Mexico, come “una persona che conosce i propri limiti, un esempio di come i non-nativi possono avvicinarsi alla spiritualità indiana in modo non invadente. Sebbene abbia legami profondi con leader tradizionali degli Stati Uniti e dell’Australia, egli è rispettoso. Condivide soltanto ciò che è sicuro condividere.” Stokes insegna consapevolezza femminile, trekking ed escursionismo, avvalendosi delle tecniche di sopravvivenza apprese dagli aborigeni australiani. Con il sostegno di tali leader, spesso tiene seminari gratuiti per giovani nativi aiutandoli a riacquistare il loro collegamento con la Terra. Suo scopo primario è aiutare la gente semplicemente ad essere nel luogo in cui si trova. A prescindere da ogni apparenza di ‘indianità’, questo potrebbe essere il fattore più elementare in qualsiasi via spirituale tribale, che sia americana, europea, asiatica o africana. Stokes delinea tre fattori di abuso nel trattamento irrispettoso riservato alla spiritualità nativa. Il primo è la negazione o il deliberato ignorare gli aspetti poco romantici o ‘difficili’ delle relazioni euroamericane. Il secondo è la monetizzazione, il richiedere cifre di denaro per partecipare a cerimonie oltre alle offerte spontanee. Il terzo è il mancato o falso riconoscimento delle fonti degli insegnamenti. “Se non comprendi questa via spirituale, è dura. Se la comprendi, è dura comunque.”

In altre parole, una visione ricevuta durante un seminario con tutti i comfort non è una visione. Non c’è una scorciatoia per la Danza del Sole. Si tratta letteralmente di donare la propria carne. Quando il petto viene trafitto, sanguina. Il poeta Gary Snyder ha scritto una volta che la ricerca personale “richiede l’abbandono delle comodità e della sicurezza, e l’accettazione di fame e freddo. Potresti anche non rivedere mai più casa tua,” sia geograficamente che psicologicamente. Il costo sarà grande, ma non verrà dal tuo portafoglio.

“Qualcuno che blatera una preghiera, che esegue un antico rituale senza disciplina, comprensione e profonda fede non avrà alcun potere,” scrive Dorothy Blackcrow Mack. “La gente che cerca deliberatamente tale potere non lo troverà. La gente che paga per la medicina, che crede di poter comprare lo Spirito, è gente idiota.”

Eppure, aggiunge, “siamo affamati di porte d’accesso allo Spirito, di apprendere che ogni cosa e ogni giorno sono sacri. I leader spirituali devono incoraggiare tutti ad approfondire le loro preghiere e il loro percorso spirituale poiché noi non-nativi dobbiamo prima imparare a spostare il nostro pensiero dall’io al noi, concetto base in molte lingue tribali.”

Il fascino della spiritualità nativa americana è grande. Ma grande è anche la responsabilità che bisogna assumersi nell’esplorarla. Come ha affermato John Stokes: “La nuova era sta arrivando, che ci sia un movimento new age o no. È imperativo per noi apprendere dai popoli nativi. Ma io farei una distinzione tra rubare e ricevere in dono qualcosa. È molto meglio ricevere in dono.”

Le foto di questo articolo sono di MJ Tangonan e di James Newcombe.