dal libro di Marco Massignan “Costellazioni rituali®”, Edizioni Tecniche Nuove.
La legge sistemica di appartenenza fa pagare a caro prezzo le esclusioni e le dimenticanze storiche sia ai discendenti delle vittime che a quelli dei carnefici. E’ il non detto, il nascosto, il segreto a far danni perseguitando i vivi. Quanti casi di depressione, suicidio, malattia, ansia, angoscia, incubi notturni e molto altro ancora sono da attribuirsi ai massacri insabbiati, ai morti dimenticati, alle efferatezze compiute in guerra e mai raccontate in tempo di pace? Moltissimi, a giudicare da quanto emerge dal lavoro delle costellazioni. Ed emerge da sé: ho perso il conto di quante volte ho trovato conferma nei documenti ufficiali e nei testi di massacri, eccidi, battaglie e torture emersi spontaneamente nel lavoro terapeutico con clienti afflitti da pensieri suicidi, aborti spontanei ripetuti, ansia, depressione, eventi di cui non sapevo nulla prima di allora.
C’è una parola in italiano colloquiale, “ambaradàn”, solitamente impiegata per indicare una situazione o un qualcosa di caotico, confuso, un allegro guazzabuglio. Ma qual è l’origine del termine?
(NELLA FOTO: impiccagione di patrioti etiopi da parte delle truppe di occupazione italiane, 1936).
AMBA ARADAM è una montagna in Etiopia, teatro nel 1936 di una battaglia fra le truppe coloniali italiane e quelle etiopi. Questo è quanto di solito si ritrova nei libri di testo e presso altre fonti. Quasi mai, salvo rare eccezioni, si accenna all’eccidio che ne seguì e ai numerosi altri massacri compiuti dalle truppe italiane. Gli scritti dello storico Angelo Del Boca e un articolo di Paolo Rumiz apparso su Repubblica nel 2006 sono due di queste eccezioni.
Il governo fascista italiano aveva fatto dell’espansione imperiale uno dei suoi temi preferiti. Mussolini aspirava alla ricostruzione di un vasto e potente impero. L’unico stato rimasto indipendente in Africa era, oltre alla Liberia, l’ETIOPIA. L’esercito etiope aveva armamenti perlopiù antiquati: pochi fucili, frecce, lance. Il territorio era ricco di risorse naturali. Il 3 ottobre 1935, il generale Emilio De Bono avanzò nell’Etiopia dall’Eritrea senza che fosse stata emessa una dichiarazione di guerra. A maggio 1936, il duce annunciò la vittoria e la proclamazione dell’Impero dal balcone di Palazzo Venezia. Ovviamente nessuno parlò dei CRIMINI DI GUERRA di cui si era macchiato l’esercito fascista.
Il 10 febbraio 1936 il generale Badoglio aveva lanciato il primo attacco della Battaglia di Amba Aradam, sul monte omonimo in cui erano attestate le truppe etiopi. Oltre ai soldati regolari del Regio Esercito e da volontari delle camicie nere, la riserva era formata dagli ascari, militi indigeni inquadrati nell’esercito di occupazione. Durante l’offensiva preparatoria, le forze italiane usarono massicciamente GAS VENEFICI, tra cui non meno di 1367 granate all’arsina da 105mm, su un totale di 22908 colpi sparati dall’artiglieria. L’Italia aveva firmato il bando internazionale delle armi chimiche, ma Mussolini diede comunque l’ordine di utilizzarle, anche in altre occasioni.
(A LATO: una vignetta ‘umoristica’ dell’epoca).
Ma avvenne nell’aprile 1936 l’episodio forse più grave accaduti in Etiopia, anche se non l’unico, “se confrontato con le stragi di ADDIS ABEBA del 19-21 febbraio 1937 e con la totale distruzione della popolazione della città conventuale di Debrà Libanòs.
Nei primi giorni di quel mese ABEBE’ AREGAI, capo del movimento di liberazione etiope, si rifugiò, insieme ai partigiani che erano con lui, nella grotta di Amezegna Washa (“Antro dei Ribelli” in lingua locale). Nel gruppo di oltre mille persone v’erano membri della resistenza, ma soprattutto donne, vecchi e bambini, che avevano il compito di provvedere alla cura dei feriti e al sostentamento dei partigiani. Mussolini ordinò di stroncare la ribellione e stanare i ribelli, ma l’impresa risultava più ardua del previsto. E così il 9 aprile il “plotone chimico” della divisione Granatieri di Savoia, da sempre ritenuta una delle più “nobili” dell’Esercito italiano, attaccò la grotta con un “bombardamento speciale” (“gli eufemismi sulle bombe intelligenti si inaugurarono allora”) di GAS D’ARSINA e con la micidiale IPRITE, già utilizzata nella prima guerra mondiale, una sostanza chimica che provoca la cecità e vesciche sulla pelle, conducendo a una morte orrenda. Abbiamo riscontrato numerose volte che i disturbi della vista e della pelle in clienti che si rivolgono a noi sono direttamente collegati a loro genitori, nonni o prozii che fecero la guerra in Etiopia.
La notte dopo, una quindicina di ribelli armati tenta una sortita e riesce a scappare. Molti cadaveri vengono gettati fuori dalla grotta. Gli altri muoiono avvelenati o si arrendono all’alba del giorno 11. OTTOCENTO PERSONE, si legge nel documento, che il mattino stesso VENGONO FUCILATE, ‘d’ ordine del Governo Generale’. Cioè del generale Ugo Cavallero e dello stesso Amedeo di Savoia, pure lui di nobile reputazione. Un MASSACRO, contro ogni norma della convenzione di Ginevra. Ma non è finita. Dentro c’ è chi resiste ancora – uomini, donne e animali – e i nostri chiedono i LANCIAFIAMME per ‘bonificare’ l’antro, ramificatissimo. I meticolosi telegrammi degli alti comandi sono istantanee dall’inferno. ‘Si prevede che fetore cadaveri et carogne impediscano portare at termine esplorazione caverna che in questo sarà ostruita facendo brillare mine. Accertati finora 800 cadaveri, uccisi altri sei ribelli. Risparmiate altre 12 donne et 9 bambini. Rinvenuti 16 fucili, munizioni et varie armi bianche’. La prevalenza di inermi disarmati tra i ribelli è ormai chiara. All’alba dell’11 aprile altri, che non erano ancora morti avvelenati, decisero di arrendersi.”
Le SCHIACCIANTI PROVE del massacro sono state raccolte sul campo da Matteo Dominioni, dottorando dell’Università di Torino, il quale si è recato sul posto ed è entrato nella grotta dell’orrore in cui più nessuno aveva osato mettere piede da allora. “Dentro, un labirinto, in parte impercorribile. ‘Ossa dappertutto, quattro teschi, di cui uno con addosso la pelle della schiena; proiettili, vestiti abbandonati, ceste per il trasporto delle granaglie’. E poi rocce annerite dai lanciafiamme. GLI ITALIANI, raccontano i figli e i nipoti di chi vide, CALARONO verso l’imboccatura della grotta dei PESANTI BIDONI che poi furono fatti esplodere con i MORTAI. Era quasi certamente l’ iprite, il gas che corrode la pelle e brucia le pupille.
E ancora: chi non fu fucilato, FU BUTTATO NEL BURRONE sotto la grotta.
Il governatore della regione di Gondar, Alessandro Pirzio Biroli, di rinomata famiglia di esploratori, fece buttare i capitribù nelle acque del Lago Tana con UN MASSO LEGATO AL COLLO. Achille Starace ammazzava i prigionieri di persona in un sadico tiro al bersaglio, e poiché non soffrivano abbastanza, prima li feriva con un colpo ai testicoli. Fu quella la nostra ‘missione civilizzatrice’? L’Africa per noi non fu solo strade e ferrovie. Ambaradan, per esempio. Da noi è una parola che fa ridere. Ma quando sai cosa accadde nella battaglia dell’Amba Aradam, quel termine sembra coniato apposta per coprire l’orrore.
Badoglio fece agli etiopi ciò che Saddam fece ai Curdi. Solo che Saddam è alla sbarra, e l’ Italia non ha risposto dei suoi crimini. C’è bisogno di parlarne – spiega Dominioni – il vuoto storico e morale da riempire è enorme.”
In seguito all’articolo di Rumiz vi furono interventi di rilievo, tra cui quello del giurista Antonio Cassese, il quale “suggeriva di seguire l’esempio della Germania, che ha reagito al nazismo scavando a fondo nel proprio passato recente, facendolo conoscere alle giovani generazioni, erigendo monumenti e musei alla memoria. Egli proponeva, inoltre, di creare una commissione di storici che esaminasse ciò che è avvenuto in Etiopia e nelle altre colonie italiane e preparasse una documentazione e un’analisi rigorose.”
Lo storico Angelo Del Boca ha proposto, finora inascoltato dalle autorità, l’istituzione di una Giornata della Memoria per il mezzo milione di africani uccisi dagli italiani nelle guerre coloniali in Libia, Etiopia e Somalia dalla fine dell’Ottocento all’inizio della seconda guerra mondiale, affermando “ci sembra che essa abbia un valore non soltanto simbolico. Noi siamo convinti che potrebbe avere riflessi non effimeri su popolazioni che non soltanto lottano contro la povertà e l’AIDS, ma anche cercano disperatamente una propria identità.”
A beneficiarne fattivamente non sarebbero solo gli africani, ma anche e soprattutto gli italiani, e non soltanto coloro che discendono da chi combatté in Africa. Ci troveremmo ai giorni nostri con un bel po’ di casi in meno di senso di colpa ricorrente, malattie della pelle, depressione, disturbi della vista e della pelle (in ricordo dei gas velenosi) e pensieri suicidi.
Riproduzione consentita citando la fonte: Marco Massignan, “Costellazioni rituali®. Sciamanismo e rappresentazioni sistemiche” Edizioni Tecniche Nuove.